Capitoli

Tempo di lettura: 4 min

3 agosto 2024

La mia visita in Kashmir corrisponde anche alla prima tappa nell’enorme e sconosciuta India. Da Delhi, grazie ad un’agenzia avevo prenotato qualche giorno in una tipica guest-house, nelle campagne della capitale Srinagar. Avevo iniziato la mia avventura indiana proprio qui, seguendo le indicazioni del ragazzo dell’agenzia secondo cui per lui l’India è come una donna: “bisogna partire dall’alto per conoscerla”...

Non conoscevo nulla allora, come la sua natura rigogliosa, clima mite e assenza di monsoni. Secondo qualche storico infatti, il Kashmir dovrebbe proprio essere la famosa “terra promessa” di cui si parla nella Bibbia e tra la popolazione musulmana locale, questa regione è anche conosciuta come Bagh-i-Suleiman, il “Giardino di Salomone".

Anche nel buddhismo questi luoghi ricoprono un’importanza fondamentale: si dice che Srinagar fu la casa del santo Padmasambhava, che portò il buddhismo Mahayana in Tibet nell'ottavo secolo.

Appena arrivato rimasi incantato dalle numerose aquile in cielo e l’architettura delle case in mattoni e alti colonnati esterni all’ingresso.

Ospite di questa famiglia kashmira, internamente alla casa mi stupiva l’arredamento ridotto all’osso e gli enormi tappeti che ricoprivano ogni centimetro di pavimento. Pranzo e cena si svolgevano proprio su quel tappeto nell’ampio salotto, come il resto delle attività.

Si mangiava con le mani. Dopo le prime volte, non mi sembrava così strano mangiare senza posate, anzi, cominciavo a domandarmi la ragione per usarle. Ci si puliva le mani sempre prima e dopo aver mangiato e si usava sempre la destra (!), anche se, essendo io mancino, a volte mi dimenticavo di quest’usanza…

La sinistra infatti è la mano impura anche nell’islam ed è tipicamente usata per afferrare le stoviglie o, come si dice in gergo: per pulirsi il didietro.

Le tradizioni erano “quelle di una volta”: la moglie cucinava, il padre gestiva le finanze, il figlio lo aiutava e nel mentre portava avanti gli studi. Le donne della casa, madre e figlia, non parlavano con gli ospiti, o almeno non con me, in quanto maschio.

Mi sembrava di essere tornato indietro nel tempo, in un tempo che non mi apparteneva, ma non ero nessuno per dire qualcosa in merito. Le tradizioni sono pur sempre tradizioni.

La camera riservata a me disponeva solo di un grande letto e un bagno con balcone esterno. La doccia mi riservava una simpatica sorpresa: era senza soffione. Al suo posto vi era un grande secchio da riempire e da cui prelevare l’acqua con un cestello più piccolo per poi buttarsela poi addosso.

Mi piaceva quel modo di sciacquarsi; mi rendeva più consapevole della quantità d’acqua che utilizzavo e ne apprezzavo il momento, per me più intimo.

Più che visitare la città, ne visitavo gli usi e i costumi: il padre mi pareva fin troppo dittatoriale nei suoi modi di fare, e forse anche approfittatore nei miei confronti. Mi propose dei costosissimi trekking o di soggiornare nella sua houseboat: una delle tipiche barche molto eleganti e finemente decorate risalenti all’epoca vittoriana. La visitai ma niente di più. Rifiutai ogni attività decidendo di lasciare l’istinto a guidarmi.

Un pomeriggio mi decisi ad esplorare in libertà i luoghi circostanti senza un preciso piano in mente. Noleggiai un motorino costeggiando il famoso lago Dal. ****

Proseguì poi per una stradina che permetteva di andare verso il centro del lago dove mi ritrovai al piccolo villaggio galleggiante Kachri Moholla.

Continuai la mia visita a piedi e dopo poco tempo all’interno del villaggio, mi accorsi che quei pochi abitanti che incontravo continuavano insistentemente ad osservarmi. Non volevano spaventarmi ma quanto più conoscermi, incuriositi dalla presenza di un bianco tra quelle viette.

Ad una certa mi fermò l’unico ragazzo a conoscere abbastanza bene l’inglese. Mi spiegò la povertà di quel posto e mi presentò alla sua numerosa famiglia. Fu talmente disponibile da invitarmi in casa per offrirmi il pranzo: del buonissimo riso con pollo. Mi sentii di non poter rifiutare per non mancare di rispetto.

Durante il mio pranzo, i suoi parenti tutt’intorno mi guardavano mangiare. Qualcuno mi filmava pure. Mi sentivo in imbarazzo, non sapevo se dovessi fare qualcosa in particolare, quindi imitavo semplicemente loro cercando di non far caso all’assurdità della situazione. Ad una certa mi sono chiesto se mi avesse fatto pagare qualcosa, non abituato a questa ospitalità (e povertà allo stesso tempo).

Terminato il pranzo mi accompagnò al porticciolo, desideroso di spiegarmi la sua cultura e mostrandomi la particolare pesca che praticavano. La gentilezza del ragazzo mi spiazzava.

Giusto di fronte a noi vi era un pescatore che sulla sua barchetta cercava di richiamare i pesci con un particolare fischio e pescando con una specie di fiocina a mano.

Giunto il momento di andare ringraziai il mio nuovo amico che in cambio mi chiese solo una cosa: parlare del suo antico villaggio, con la speranza che in futuro diventasse più turisticamente attrattivo per portare più ricchezza alla sua gente.

Trascorsi i quattro giorni mi arriva una chiamata al telefono da un numero sconosciuto. Rispondo: si presenta come Takrar ed è un amico kashmiri di mio fratello. Aveva saputo che mi trovavo a Srinagar e non vedeva l’ora di conoscermi.

Ci diamo appuntamento per la mattina successiva, dove sarebbe venuto a prendermi in macchina per portarmi a casa sua in modo da presentarmi la sua famiglia e sapere di più su di me.

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